L’art. 2380 bis ricalca in gran parte l’art. 2380, vecchio testo, ed afferma, al suo primo comma, che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori: si rimarca dunque la scissione di competenze tra consiglieri di amministrazione e assemblea (e si veda per il sistema dualistico, l’analoga previsione dell’art. 2409 octies, primo comma; mentre nel modello monistico l’art. 2409 noviesdecies, primo comma, richiama espressamente l’intero art. 2380 bis). D’altronde la stessa legge delega 366 del 2000 aveva posto come obiettivo di definire le competenze dell’organo amministrativo con riferimento all’esclusiva responsabilità di gestione dell’impresa sociale (art. 4, comma ottavo, lett. c). Viene dunque ad essere cancellato il vecchio art. 2364, primo comma, n. 4: l’assemblea delibera ora sugli altri oggetti attribuiti “dalla legge” alla sua competenza, e non più dall’atto costitutivo. Il sistema dei rapporti tra amministratori e assemblea si caratterizza pertanto per una più nitida e decisa separazione di poteri e funzioni, non risultando pertanto ipotizzabile il trasferimento, ad opera dello statuto, di facoltà generali proprie di un organo all’altro (in particolare dal consiglio di amministrazione all’assise deliberativa).
Ciò comporta anche che la responsabilità degli amministratori per gli atti di gestione non può essere alleviata o esclusa da un’apposita decisione assembleare, da un’autorizzazione, come anche confermato dall’art. 2364, primo comma, n. 5. Il medesimo art. 2364 inoltre non prevede più al n. 4 che gli amministratori possano di propria iniziativa sottoporre un atto all’assemblea: sarà in tal caso necessario, alla luce della nuova normativa, un’apposita previsione statutaria; in caso contrario, più che vietata, la delibera autorizzativa dell’assemblea risulterà del tutto irrilevante. I principi appena richiamati sono confermati anche dall’art. 2434, che sancisce che la delibera di approvazione del bilancio non importa liberazione degli amministratori per le responsabilità incorse nella gestione sociale. Ciò non toglie comunque che gli amministratori possano rivolgersi all’assemblea dei soci onde richiedere direttive, opinioni, o comunque per sondare gli umori e le intenzioni dei soci, ferma restando la responsabilità dei gestori. Dei dubbi potrebbero peraltro sorgere, stante la lettera delle norme richiamate, su che valore conferire ad una delibera assembleare che neghi l’autorizzazione ad un’operazione opportuna.
Il primo comma dell’art. 2380 bis dispone quindi che gli amministratori compiono tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale: essi hanno pertanto poteri di gestione estesi a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale e nei rapporti con i terzi, in base alla previsione contenuta nel nuovo art. 2384, un potere di rappresentanza generale degli amministratori; il tutto salvo ovviamente le possibili limitazioni che lo statuto possa prevedere.
La disposizione in esame trova un suo stretto collegamento con la nuova previsione dell’art. 2384, che sul versante esterno, nei rapporti con i terzi configura un potere di rappresentanza generale degli amministratori; mentre tali norme si allontanano in qualche misura dal contenuto dei vecchi artt. 2384 e 2384 bis, in quanto viene a scomparire ogni riferimento all’oggetto sociale, inteso come misura e limite della legittimazione.
Residua invece un ultimo dubbio sulla completa assimilazione tra i termini “operazioni necessarie”, di cui alla nuova previsione, e il previgente “atti non estranei all’oggetto sociale”, dal momento che tale ultima locuzione appare di contenuto più esteso. Proprio i differenti ambiti ai quali essi si riferiscono e riferivano – l’uno attinente i profili interni, i poteri di gestione, l’altro la loro considerazione esteriore, i rapporti con i terzi – non consentono di estrapolare soluzioni di valore restrittivo, in particolare alla luce delle modifiche intervenute. Le scelte di gestione non potranno essere sindacate o limitate per motivi di merito, né dai terzi, né dai soci: gli amministratori potranno quindi compiere tutte le operazioni che riterranno necessarie o opportune, senza timore di successive invalidazioni negoziali, salvo il caso dell’exceptio doli con il terzo (art. 2384). Eventualmente, in caso di fatto comunque lesivo, i terzi potranno esperire l’ordinaria azione di risarcimento danni (art. 2395) o l’azione di responsabilità dei creditori sociali (art. 2394); mentre nei rapporti interni saranno agibili l’azione di responsabilità ex art. 2393, e 2393 bis, o la revoca per giusta causa, ex art. 2383, terzo comma, ovvero la denuncia al collegio sindacale o al tribunale, ai sensi degli artt. 2408 e 2409.
Nei restanti commi l’art. 2380 bis rimane identico al precedente art. 2380.
Più in generale deve ricordarsi che agli amministratori possono delegarsi la facoltà di aumentare il capitale (art. 2443) nonché di emettere obbligazioni convertibili (art. 2420 ter). L’art. 2446, terzo comma, consente alle società con azioni senza valore nominale che lo statuto o una deliberazione dell’assemblea straordinaria possa affidare ad una delibera del consiglio di amministrazione – ove esista, altrimenti, con tutta probabilità, anche all’amministratore unico – la riduzione del capitale per le perdite riportate all’esercizio successivo. Si osservi anche il nuovo testo dell’art. 2365, secondo comma, che, in materia di competenze dell’assemblea straordinaria, prevede come importante novità che lo statuto possa attribuire alla competenza dell’organo amministrativo o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione le deliberazioni concernenti la fusione nel caso previsto dagli artt. 2505, secondo comma e 2505 bis secondo comma (incorporazione di società possedute interamente o al 90 %), l’istituzione o la soppressione di sedi secondarie, l’indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, gli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale.
Detta norma va quindi coordinata con l’art. 223 bis, terzo comma, delle disposizioni di attuazione e transitorie, che prevede l’applicabilità dell’art. 2365 anche per le modifiche statutarie resesi necessarie con l’entrata in vigore del decreto di riforma (da adottare entro il 30 settembre 2002: art. 223 bis, primo comma): in tal caso la delega sarà conferita mediante modifica statutaria presa dall’assemblea straordinaria a maggioranza semplice, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti (art. 223 bis, secondo comma).
Qualche perplessità sorge in relazione alla delega portata dall’art. 2365 che si limita a prevedere laconicamente come suo oggetto gli “adeguamenti dello statuto a disposizioni normative”. Ci si chiede pertanto che grado di genericità possa essa avere, o se ne debba essere, opportunamente, in qualche modo specificata la portata. Inoltre desta perplessità il suo possibile oggetto in relazione alle disposizioni normative: dovranno essere queste quelle introdotte con nuova legge; ovvero anche norme vigenti? Solo quelle imperative e inderogabili; o anche quelle facoltative e quelle derogabili? Ove non se ne delimitasse l’utilizzo si potrebbe assistere infatti in concreto ad un sostanziale trapasso del potere di modifica dello statuto all’organo gestionale, contrario ai principi generali in materia di società di capitali: il socio di maggioranza potrebbe quindi detenere in pratica la facoltà di adattare le regole statutarie secondo le proprie personali istanze. Sul punto, si rinvia anche a quanto esaminato, in relazione all’art. 223 bis, terzo comma, delle disposizioni transitorie e di attuazione, in sede si analisi dell’art. 2328 e degli adeguamenti statutari delle società già costituite.
Si ricorda anche che, in tema di patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447 ter, secondo comma, la deliberazione di destinazione è adottata dal consiglio di amministrazione a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
Il presidente del consiglio di amministrazione, il comitato esecutivo e gli amministratori delegati.
L’art. 2381 costituisce norma in buona parte innovata. Al primo comma sono specificati i poteri ed i doveri del presidente del consiglio di amministrazione cui è demandato di:
convocare il consiglio di amministrazione;
fissare l’ordine del giorno;
coordinare i lavori;
provvedere alla adeguata informazione sulle materie oggetto delle seduta.
La posizione degli amministratori, se, come visto, da un lato viene nel complesso potenziata (art. 2380 bis), dall’altro subisce anche una più profonda responsabilizzazione: non a caso la norma in commento va letta in stretta correlazione con quanto disposto dagli artt. 2392 e ss (si veda anche l’art. 4, comma secondo, lett. b) e comma ottavo, lett. a), della “legge Mirone”; quest’ultima norma inoltre prevedeva testualmente un ampliamento dell’autonomia statutaria).
L’autonomia negoziale può quindi determinare il contenuto, i limiti e le modalità di esercizio delle attribuzioni degli amministratori delegati; questi ultimi possono essere comunque nominati dal consiglio di amministrazione solo se lo statuto o l’assemblea lo consentano (art. 2381, secondo comma). Ma viene rimarcato e approfondito il principio dell’atteggiamento di generale poziorità del consiglio sugli amministratori delegati, oltre che mediante la specificazione della possibilità da parte del consiglio di impartire direttive o avocare a sé operazioni oggetto della delega – situazione senz’altro necessitata in caso di interesse dell’amministratore delegato, ex art. 2391, primo e secondo comma, ai quali si rinvia – anche attraverso l’imposizione al consiglio di una più generale attività di vigilanza e controllo; unitamente, è ovvio, al potere di revocare la delega. Se pertanto è compito degli amministratori delegati di predisporre e curare un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società (art. 2381, quinto comma), spetta invece al consiglio di amministrazione di valutarne la concreta effettività ed adeguatezza (art. 2381, terzo comma).
Sempre il consiglio è il necessario destinatario di specifici obblighi di informazione e comunicazione da parte degli amministratori delegati, in tal modo realizzando una migliore trasparenza dei piani e degli atti di amministrazione, almeno all’interno del medesimo organo gestorio (art. 2381, terzo, quinto e sesto comma; per le informazioni da fornire al collegio sindacale: art. 2403 bis e, per le società quotate, artt. 150, primo comma, 151, primo comma e 155, secondo comma del t.u.f. 24 febbraio 1998, n. 54); anzi ancor più, ciascun amministratore è legittimato da solo a chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni sulle operazioni gestionali (art. 2381, sesto comma).
Quanto finora rilevato evidenzia in maniera chiara un potere di direzione e di controllo in capo al consiglio di amministrazione, inteso nella sua più lata accezione. Ma il legislatore tenta di delineare con la maggior nitidezza possibile l’articolazione interna dello stesso organismo, ed i rispettivi compiti e doveri, al fine anche di meglio individuarne le conseguenti responsabilità. Sul consiglio di amministrazione grava, come si è visto, un generale obbligo di vigilanza, ma la responsabilità solidale per danni dei singoli consiglieri, altrimenti quasi oggettiva, si arresta di fronte alle attribuzioni proprie del comitato esecutivo o degli amministratori delegati, ovvero all’annotazione del dissenso dell’incolpevole (art. 2392, primo e terzo comma); salvo il non impedimento del fatto pregiudizievole o l’attenuazione delle conseguenze dannose a seguito della sua conoscenza (art. 2392, secondo comma).
Il nuovo art. 2381, al quinto comma, si preoccupa di esplicitare gli obblighi imposti sugli amministratori delegati. Questi ultimi devono, oltre che come già visto predisporre per la società un assetto organizzativo, amministrativo e contabile ad essa adeguato, nonché realizzare una peculiare trasparenza informativa nei confronti degli altri amministratori, inoltre sul generale andamento della gestione, sulla sua possibile evoluzione e sulle operazioni di maggior rilievo; il tutto anche nei confronti delle società controllate. Appare peculiare il fatto che il consiglio di amministrazione “esamini” soltanto i piani strategici, ove elaborati, in tal modo sottintendendo una competenza degli organi delegati alla loro ideazione ed attuazione.
Sul contenuto delle deleghe, può osservarsi che dal parallelo tra il secondo ed il terzo comma dell’art. 2381, la legge sembra riferirsi a deleghe in qualche grado specifiche, ancorché consentirne una particolare ampiezza. In presenza di amministratore delegato, sarebbe comunque opportuno che lo statuto specifichi a quale soggetto siano attribuiti i relativi poteri di rappresentanza.
Si conferma, al quarto comma dell’art. 2381, la non delegabilità al comitato esecutivo o ad amministratori delegati delle operazioni di redazione del bilancio (art. 2423), di aumento (art. 2443) e di riduzione di capitale (art. 2446 e 2447). Le operazioni non trasferibili vengono incrementate, ricomprendendovi anche quelle di emissione di obbligazioni convertibili (art. 2420 ter) e di redazione del progetto di fusione (art. 2501 ter) e di scissione (art. 2506 bis).
La nomina e la revoca degli amministratori.
La norma rimane pressoché identica alla previgente: per motivi di coordinamento si aggiunge, alla regola della competenza dell’assemblea per la nomina, l’inciso che fa salve modalità particolari di voto in relazione a determinati titoli partecipativi (art. 2351), ovvero nel caso di società con partecipazione dello Stato (artt. 2449 e 2450).
L’incarico dura non più di tre esercizi (termine sostituito a quello di tre anni) fino all’assemblea per il bilancio del terzo esercizio (analogamente a quanto disposto per i consiglieri di gestione, all’art. 2409 novies, quarto comma; e in maniera parzialmente diversa da quanto disposto per i sindaci, all’art. 2400, primo comma; per i soggetti incaricati del controllo contabile, all’art. 2409 quater, secondo comma; e per i consiglieri di sorveglianza, all’art. 2409 duodecies, terzo comma).
Per l’iscrizione della nomina nel registro imprese, gli amministratori hanno 30 giorni dalla relativa notizia (art. 2383, quarto comma).
Va ricordato anche l’art. 2368, primo comma, ultimo inciso, che attribuisce allo statuto la facoltà di stabilire norme particolari per la nomina alle cariche sociali. Nonché l’art. 2351, quarto comma, che consente che ai titolari degli strumenti finanziari previsti dagli artt. 2346, sesto comma e 2349, secondo comma, possa essere riservata la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza, secondo modalità stabilite dallo statuto.
La rappresentanza della società.
La norma contenuta al primo comma dell’art. 2384 subisce un’evidente rielaborazione e un’apparente semplificazione: si elimina ogni riferimento all’oggetto sociale e viene dunque a scomparire l’art. 2384 bis.
Si afferma quindi a chiare lettere che il potere di rappresentanza è generale in capo ai soggetti indicati nell’atto costitutivo (art. 2328, secondo comma, n. 9), dallo statuto o dalla deliberazione di nomina (art. 2384, primo comma): l’eliminazione dell’inciso relativo a “tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale” comporta un avvicinamento verso una concezione della capacità delle società come generale, non limitata dalla particolare natura o oggetto dell’atto da compiere; anche se poi dal punto di vista sostanziale, interno, permangono le limitazioni scaturenti dalla necessità dell’operazione alla realizzazione dell’oggetto sociale (art. 2380 bis, primo comma).
Rimane invece pressoché identica, in virtù della sua derivazione di origine comunitaria, la previsione dell’opponibilità delle limitazioni al potere di rappresentanza, disposte dallo statuto o per decisione degli organi competenti e anche se pubblicate, solo ove si riscontri che i terzi abbiano agito intenzionalmente a danno della società (art. 2384, secondo comma).
La dissoluzione dell’art. 2384 bis conferma l’adozione da parte del legislatore di un atteggiamento unitario in relazione alla manifestazione esteriore delle operazioni compiute dalla società per il tramite degli amministratori rappresentanti. In tal caso il difetto o la limitazione di legittimazione del rappresentante operante, o l’estraneità dell’atto rispetto all’oggetto sociale, o la buona o mala fede del terzo, non potranno mai comportare l’invalidità o l’inopponibilità dell’atto negoziale: il tutto salva ovviamente l’ipotesi dell’exceptio doli. In ogni caso residueranno le azioni di risarcimento danni (art. 2395) e di responsabilità (artt. 2393 ss.), oltre alla possibilità di procedere alla revoca degli amministratori per giusta causa (art. 2383, terzo comma) ed alle denunzie al collegio sindacale ed al tribunale (artt. 2408 e 2409).
Questa ridotta opponibilità riguarda solo le limitazioni derivanti dallo statuto e, ora anche, da decisione degli organi competenti. Rimane il dubbio se tale effetto preclusivo concerna anche le limitazioni promananti dalla legge: si confronti, oltre alla discussione in tema di firma congiunta, anche la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 2383, sulla nomina invalida degli amministratori.
La cessazione degli amministratori.
La norma rimane identica a quella previgente: per l’iscrizione della cessazione nel registro imprese, il collegio sindacale ha 30 giorni; non è prevista una data di decorrenza per tale obbligo, che potrebbe quindi rinvenirsi nel giorno in cui si verifichi la cessazione; ovvero, in maniera analoga all’art. 2383, quarto comma, dalla data della sua notizia.
Va ricordato, per le società con prevalente partecipazione dello Stato, la deroga disposta al regime della proroga per scadenza del termine dal d.l. 16 maggio 1994, n. 293, convertito dalla l. 15 luglio 1994, n. 444, riguardante la “Disciplina della proroga degli organi amministrativi”, di cui si tratterà in maniera più articolata nell’analisi degli artt. 2449 e ss.
La sostituzione degli amministratori.
La disposizione, per la maggior parte invariata, è stata integrata, oltre che da alcune specificazioni, dalla possibilità della previsione statutaria della cosiddetta clausola “simul stabunt, simul cadent” (art. 2386, quarto comma). Lo statuto può quindi stabilire che, ove vengano a cessare alcuni amministratori, possa sciogliersi l’intero consiglio di amministrazione. Dall’inciso “taluni amministratori”, al plurale, letteralmente potrebbe sembrare esulare la possibilità che la clausola possa predisporsi per il caso di cessazione anche di un solo amministratore: possibilità che si ritiene, vista la labilità di tale elemento testuale, anche sulla base delle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza, comunque attuabile. Il quinto ed il sesto comma dell’articolo in esame sciolgono inoltre una questione in tema di prorogatio: la convocazione dell’assemblea viene disposta dagli amministratori rimasti in carica, ovvero, se lo statuto lo prevede, dal collegio sindacale, il quale può nel periodo transitorio compiere gli atti di ordinaria amministrazione.
Inoltre si specifica che la maggioranza degli amministratori che rimangono in carica o vengono a cessare, debba essere costituita dai consiglieri nominati dall’assemblea (art. 2386, primo e secondo comma); mentre alla regola della scadenza cumulativa di cui al terzo comma, si aggiunge la possibilità che lo statuto disponga diversamente.
I requisiti di onorabilità, di professionalità e di indipendenza degli amministratori.
La disposizione è completamente nuova (si veda l’art. 4, comma ottavo, lett. b), della “legge Mirone”), in linea con quanto previsto per gli amministratori di determinati enti operanti nel settore dei mercati finanziari (vedi, ad esempio, l’art. 26 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” e l’art. 13 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”); norme tra l’altro alle quali rinvia l’art. 2387, secondo comma, e destinata ad avere rilievo essenzialmente nelle società che in misura più o meno accentuata si rivolgano al mercato, costituendo in tal modo anche un esempio di corporate governance.
L’autonomia statutaria, anche se non sembra che prima le fosse impedito, può dunque ampliare i requisiti previsti nei confronti dei soggetti chiamati a rivestire la carica di amministratori, richiedendone una particolare onorabilità, professionalità e indipendenza. Si confrontino anche gli artt. 2399, terzo comma, per i sindaci, 2409 quinquies, secondo comma, per il revisore contabile e 2409 duodecies, sesto comma, per i consiglieri di sorveglianza nell’ambito del sistema dualistico.
Sono salve le previsioni delle leggi speciali in relazione all’esercizio di particolari attività. Viene alla mente quanto disposto dal testo unico 58 del 1998 per le società di intermediazione mobiliare (art. 13), le società di gestione del risparmio dei fondi comuni di investimento (art. 34, primo comma, lett. d) e le società a capitale variabile (art. 43, primo comma, lett. d); le relative norme rinviano ad un regolamento del Ministero del Tesoro (ora dell’Economia), il 468 dell’11 novembre 1998. Mentre in tema di ordinamento bancario, l’art. 26, primo comma, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (“Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”), affida ad un decreto del Ministero del Tesoro (ora dell’Economia), emanato il 18 marzo 1998, n. 161, la fissazione dei requisiti di professionalità e onorabilità degli esponenti aziendali.
Le deliberazioni del consiglio di amministrazione.
Rispetto alla norma previgente, l’art. 2388 introduce l’importante ed esplicita previsione della possibilità di prevedere statutariamente lo svolgimento delle riunioni del consiglio di amministrazione in tele o videoconferenza. Peraltro la previsione dell’art. 2388 è alquanto scarna. Le teorizzazioni in materia, sviluppatesi in particolare nei riguardi della seduta assembleare, ma non solo, ritenevano elemento ineludibile una serie di precauzioni di informazioni, preventive e contestuali, e di istantanea comunicatività: spetterà pertanto alle tecniche professionali colmare tale laconica disciplina. Va notato che una previsione simile, anche se non identica da un punto di vista strettamente tecnico, è contenuta all’art. 2404, primo comma, per le riunioni del collegio sindacale, che ora possono, per volontà dell’autonomia dei privati, svolgersi anche mediante mezzi telematici.
Inoltre è lo statuto, e non più l’atto costitutivo a dover prevedere le diverse modalità di computo delle maggioranze (art. 2388, secondo comma).
Infine la legittimazione ad impugnare le delibere viene esplicitamente limitata e concessa solo ai sindaci ed agli amministratori – questi ultimi solo se assenti o dissenzienti; e gli astenuti? – ed ai soci lesi nei propri diritti, nei 90 giorni successivi alla deliberazione, applicandosi in quanto compatibili gli artt. 2377 e 2378 (a sindaci e amministratori solo tale ultima norma). Il che sembra rientrare nel tentativo compiuto dal legislatore di rimarcare, quanto più possibile, la separazione tra l’attività interna della società ed i correlativi rapporti con i terzi (si veda anche quanto osservato nei riguardi degli artt. 2380 bis, primo comma e 2384). Delle perplessità potrebbero peraltro sorgere sull’effettiva individuazione delle fattispecie interessate: e ciò sia in relazione all’interrogativo su quando si abbia lesione dei diritti dei soci; sia nei confronti del giudizio di compatibilità concernente l’applicazione degli artt. 2377 e 2378.
I compensi degli amministratori.
La disciplina della retribuzione degli amministratori rimane pressoché identica a quella previgente. Si aggiunge peraltro la possibilità che i compensi possano essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere azioni di futura emissione ad prezzo predeterminato. E si prevede l’eventualità che lo statuto consenta all’assemblea una remunerazione complessiva (un budget) per tutti gli amministratori, i quali provvederanno quindi alla sua concreta ripartizione.
Residuano comunque delle perplessità dovute al fatto che in ambito internazionale proprio la disciplina dei compensi degli amministratori è fatta oggetto di particolare attenzione e controllo, per finalità di trasparenza, onde evitarsi il ripetersi di situazioni rilevanti e gravi, note anche per fatti divenuti di cronaca.
Non vengono poi risolte le perplessità in tema di amministratori investiti di particolari cariche.
Infine, appare un lievissimo refuso l’utilizzo al terzo comma, prima del termine “rimunerazione”, quindi di quello “remunerazione”.
Il divieto di concorrenza.
La norma rimane pressoché identica a quella previgente, aggiungendosi, anzi specificandosi, l’incompatibilità con la qualità di amministratori o direttori generali in società concorrenti (art. 2390, primo comma). Il dovere di lealtà trova comunque una sua migliore esplicazione nel successivo art. 2391.