Come Funziona il Mutuo a Tasso Variabile

Quando si parla di mutui a tasso variabile, ci riferiamo a quei mutui la cui rata cambia per l’effetto dell’andamento economico degli indici a cui questi mutui sono legati. Generalmente l’importo delle rate di un mutuo a tasso variabile sono più contenute rispetto a quelle del mutuo a tasso fisso, ma essendo calcolate in base degli indici di riferimento, possono variare per cui aumentare o diminuire.

Il tasso di interesse dei mutui a tasso variabile è composto dal tasso Euribor, che rappresenta il costo del denaro, e lo spread che sta ad indicare il guadagno della banca o ente finanziatore (v. spread). Lo spread, è un parametro soggettivo legato alla politica economica della banca finanziatrice, pertanto tra le varie proposte di mutuo a tasso variabile, possiamo trovare notevoli differenze.

In altre parole il tasso variabile nei mutui, è dato dalla somma dello spread, che rimane invariato per tutto il periodo del mutuo, e il tasso Euribor che per sua natura è legato al valore dei suoi rilevamenti. La banca, a seconda della scadenze delle rate previste dal piano di ammortamento, aggiorna l’importo delle rate rimanenti, con il variare del valore dell’euribor.

Possiamo trovare tra le varie proposte di mutui a tasso variabile, la presenza ed utilizzo dei cosiddetti tasso d’ingresso e il tasso a regime; il primo rappresenta un tasso applicato per i primi mesi di vita del mutuo per poi dare spazio al tasso a regime, che è il tasso effettivo “ufficiale” del mutuo. Generalmente il tasso di ingresso è un tasso promozionale, pertanto è raccomandato verificare che il tasso pubblicizzato su varie proposte di mutuo, sia quello a regime o quello d’ingresso, per poi continuare nella valutazione corretta dell’opportunità capitateci.

Si consiglia di optare sul tasso variabile quando si preferisce che il prestito segui l’andamento del mercato, o quando si prevede che nel lungo periodo il tasso di riferimento euribor tendi a scendere.

I mutui composti dal tasso variabile vengono preferiti da chi dispone di un reddito medio alto, da coloro che nel caso in cui i tassi di riferimento dovessero alzarsi, hanno la capacità economica di accollarsi delle rate elevate, esistono però soluzioni di mutui a tasso variabile che permettono di avere la rata fissa.

Come Funziona il Consolidamento Debiti

Tra le varie proposte di finanziamenti e prestiti le banche e le finanziarie propongono il consolidamento dei debiti, questo prodotto nasce con lo scopo di raggruppare tutti i prestiti del cliente in un unico finanziamento. E’ possibile raggruppare ad esempio la cessione del quinto, il prestito per l’auto quello per la vacanza ed addirittura il mutuo (v. consolidamento mutuo), con la possibilità grazie appunto al consolidamento dei prestiti, di allungare il periodo di rimborso riuscendo quindi ad ottenere una rata di importo più basso.

Oggi chi richiede un consolidamento prestiti, è una persona che si ritrova a pagare magari due prestiti personali, un finanziamento per l’acquisto dell’auto e addirittura una cessione del quinto; davanti a questa situazione è facile dedurre che rivolgersi ad una finanziaria per accorpare tutti questi debiti risulta un’azione decisamente saggia, tanto più quando le rate iniziano a diventare pesanti. Esistono sul mercato proposte a dei tassi molto convenienti, è consigliabile però tenere sempre d’occhio il costo complessivo dell’operazione finanziaria, comunque risulta spontaneo dedurre che già riducendo i costi dell’incasso rata di ogni finanziamento, l’affare è già fatto.

Tuttavia va sottolineato che non tutte le finanziarie offrono questo tipo di strumento, perchè comunque i rischi di una eventuale insolvenza, da parte del debitore, sono molto elevati, pertanto l’accettazione della domanda di un consolidamento prestiti avviene dopo un accurato controllo sullo stato di “salute” finanziario del richiedente. Ad incidere non poco sulla concessione del consolidamento è la situazione contrattuale lavorativa del soggetto, meglio se si è dipendenti a tempo indeterminato, se non si dispone di tale contratto a seconda del reddito e dell’importo richiesto, le finanziarie possono richiedere la presenza di un garante o la sottoscrizione di una fideiussione.

I documenti richiesti, sono documenti che attestano l’identità del soggetto quali appunto la carta d’identità il codice fiscale, documenti che testimoniano la capacità di rimborso quindi il CUD e le ultime due busta paga, ed un foglio di notizie rilasciato dalle finanziarie che attestano il debito residuo da consolidare.

Clup – Definizione e Significato

Clup è la sigla che denota il . Esso è pari al rapporto fra il valore totale delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, più tutti gli oneri a carico dei datori di lavoro, e la quantità prodotta di beni e servizi. Misura il controvalore monetario del lavoro dipendente incorporato in un’unità di prodotto.

Poiché la remunerazione del lavoro dipendente costituisce di gran lunga la quota più importante del prezzo di un prodotto, l’andamento del Clup è cruciale per l’inflazione.

Se numeratore e denominatore del Clup sono a loro volta divisi per il numero totale dei dipendenti, si ottiene un rapporto che mette a confronto la retribuzione per dipendente con le unità prodotte per dipendente (tale quoziente è la famosa produttività), riunendo così tutte le determinanti del costo del lavoro. Quando il Clup italiano aumenta più dei Clup concorrenti, diminuisce la competitività dei prodotti nazionali a confronto di quelli stranieri, nel senso che questi ultimi diventano relativamente più convenienti.

Risulta essere per questa ragione che i responsabili delle sorti economiche di un Paese sono tanto “sensibili” ai movimenti del Clup. Per recuperare competitività sul piano internazionale, essi non hanno a disposizione che tre soluzioni: svalutare la moneta, in modo tale da gonfiare artificialmente il Clup dei prodotti stranieri; rallentare la dinamica salariale, mediante accordi fra le parti sociali, mantenendola al di sotto di quella prevalente all’estero, in modo tale da far crescere più lentamente il Clup nazionale rispetto a quello straniero; aumentare la produttività, così da ridurre il Clup nazionale.

Come si Scrive l’Autocertificazione

Un’autocertificazione è una dichiarazione che viene presentata ad un ente della pubblica amministrazione, o ad un soggetto privato che ne fa richiesta, in sostituzione dei certificati ufficiali come quello di nascita, matrimonio, residenza, oppure, lo stato di famiglia e qualsiasi altra qualità o fatto personale ci venga espressamente richiesto certificare. Sebbene compilate da noi stessi, le autocertificazioni hanno valore di atto pubblico e validità illimitata, perciò vanno scritte con la dovuta attenzione.

La dichiarazione può essere stilata su carta semplice, se non ci viene fornito un prestampato dall’ente richiedente, ponendo al centro l’intestazione, in stampatello, “Dichiarazione sostitutiva di certificazione” seguita dal riferimento alla legge con cui è stata introdotta Art. 46 D.P.R. 445 del 28 dicembre 2000, che ne attesta la validità.

Successivamente si riportano le generalità con la formula standard “Io sottoscritto”, per poi passare all’elenco delle informazioni che ci viene richiesto certificare, facendole precedere dalla dicitura “Dichiaro sotto la mia responsabilità”.
Come esempio è possibile vedere questo modello.

L’autocertificazione si chiude indicando data e luogo dell’avvenuta dichiarazione, seguite dalla firma del dichiarante
Non è necessario che questa sia certificata, basta che venga apposta davanti ad un funzionario d’ufficio. Nel caso in cui ciò non possa avvenire, si può semplicemente allegare al documento stilato una fotocopia della propria carta d’identità.

Gli enti richiedenti dovranno poi verificare la veridicità delle informazioni riportate. Bisogna fare molta attenzione a quanto si scrive, perché in caso di false dichiarazioni si va in contro a sanzioni penali che possono prevedere il pagamento di un’ammenda o perfino un periodo di detenzione, oltre alla perdita dei benefici che sarebbero derivati dall’acquisizione della dichiarazione.

Ciclo Economico – Definizione e Significato

In origine ciclo significava ; denotava cioè quella particolare figura di geometria piana che più di tutte sa suscitare l’immagine del regolare ritorno all’identico. Tale immagine il termine ciclo incorpora ancora nel suo significato comune: indica infatti qualunque movimento regolare la cui fine termina in una posizione che, sotto qualche particolare rispetto, è simile a quella iniziale.

In questo secondo senso il termine trova accoglienza nella locuzione ciclo economico. Ciò che cambia durante il ciclo economico è il ritmo di crescita dell’attività di un intero Paese. Questa viene di norma rappresentata dal valore del Pil reale, cioè del prodotto interno lordo calcolato sulla base di prezzi costanti. Punto di partenza del ciclo può essere considerato il Pil di un anno qualunque. Ciò che rileva è la posizione che esso occupa rispetto alla curva di sviluppo tendenziale. Tale curva mostra quale potrebbe essere l’evoluzione della produzione interna di una nazione, se in ogni momento l’economia riuscisse a garantire il pieno impiego dei fattori produttivi, ossia l’utilizzo di tutte le risorse disponibili di capitale e di lavoro. Poiché queste crescono nel tempo gradualmente, la curva di trend disegna sostanzialmente una linea inclinata positivamente.

Nella realtà accade però che solo di rado siano impiegati tutti i fattori produttivi disponibili: di norma, periodi di sovrautilizzazione si succedono a periodi in cui parte degli impianti rimane chiusa e fette rilevanti della forza lavoro restano a casa. Di queste circostanze alterne risente l’andamento del Pil reale. La sua dinamica è irregolare: alla rapida crescita segue il rallentamento e quindi la caduta; a questa, dopo che è stato toccato il fondo, succede di nuovo la crescita, e così via in un continuo saliscendi intorno alla curva di sviluppo tendenziale. Il massimo può talora superare tale curva, ma più spesso si colloca alla pari o di poco al di sotto. Gli economisti distinguono quattro fasi del ciclo: la ripresa, che è la crescita del Pil dal punto di minimo fino al raggiungimento del punto di contatto con la curva di trend; l’espansione, detta anche con espressione linguistica ibrida boom economico, ossia la crescita che si prolunga oltre la curva di trend fino al punto di massimo; la recessione, che percorre il sentiero inverso; e infine la depressione, che denota lo sprofondamento del Pil sotto la linea di tendenza fino al minimo.

Quanto dura un ciclo economico, ossia il raggiungimento di due punti di minimo o di massimo consecutivi? Dipende da quali punti si prende in considerazione: possono essere individuati cicli brevi, di durata inferiore ai cinque anni, maggiori, che durano quasi dieci anni, o lunghi, della durata anche di cinquant’anni. La durata del ciclo non è identica sempre e ovunque. Varia in funzione di numerosi fattori: il Paese, le tecniche di produzione, l’intensità dell’innovazione, il grado di integrazione dell’economia mondiale.